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PERCHE' NO

Inviato da Mariella

categoria: Testimonianze
pubblicato il Venerdì 01 Ottobre 2010

 

Mi chiamo Mariella e ho 45 anni. 

Entrare in questo sito mi fa sentire un po' un'abusiva. Abusiva perché non ho nessuna patologia a carattere reumatico, ma sono affetta da distrofia muscolare progressiva in stato avanzato. Mi astengo dall'annoiarvi con l'iter dei vari ricoveri passati e futuri. Mi limito a scrivere una breve "cronistoria" del decorso della malattia. Inizio a faticare a camminare all'età di sei anni; la parola «progressiva» aggiunta alla diagnosi si è rivelata tale in tutta la sua pienezza. A dodici anni, infatti, finisco in carrozzina. Verso i trenta ho perso l'uso praticamente di tutti i movimenti. Dal 1990 respiro con l'aiuto di un ventilatore polmonare (i primi anni solo uso notturno). Dopo attenta riflessione, ho accettato il caloroso invito di entrare "a pieno diritto" in questo sito da parte di due care persone del direttivo della sezione ALOMAR Sondrio. Sezione a cui mi sento legata da motivi affettivi. «Che cosa posso scrivere d’interessante?» fu la mia reazione alla loro richiesta. «La tua esperienza potrebbe essere d’aiuto alle persone a cui manca l'input per sentirsi realizzati nonostante la propria disabilità», fu pressappoco la risposta che ricevetti da loro. Inizialmente rifiutai. Motivo? Trovo difficile credere che raccontare del mio rapporto con la malattia si riveli d'aiuto. In fondo non faccio nulla di particolare o d’eccezionale. "Vista da fuori", la mia vita rischia di apparire addirittura noiosa. Altra ragione per cui mi è difficile credere d'essere "di stimolo" a qualcuno, è perché, fino ad ora (mai dire mai), non mi è capitato di trarre conforto “guardando alle altrui difficoltà". Forse non ho mai sentito la necessità di questo genere di confronto, poiché TROVO DENTRO la spinta necessaria per affrontare la quotidianità, nonostante le difficoltà intrinseche. 

VOGLIO fortemente riuscire a vivere bene con le mie forze, traendo linfa dal mio essere. 

Questo modo di esprimermi potrebbe far credere che della sofferenza altrui "non me ne può fregà de meno". È piuttosto il contrario. Vedere le persone soffrire mi rende triste ed impotente. Vorrei poter dire o fare qualcosa ma... Cosa dire? Cosa fare? 

Soffrire è un termine complicato da utilizzare. A volte, trovo sia adoperato addirittura a sproposito. Molto spesso capita di percepire negli sguardi di alcune persone un sentimento di pietà nei confronti dei diversamente abili, quasi a dire: «poverino chissà come soffre», il giudizio logicamente è rapportato alla sedia a rotelle.  Dove sta scritto che malattia è uguale a sofferenza? Cosa ne sai tu di me? Cosa ne so io di te?

Quando qualcuno mi chiede «Come stai?», di sicuro rispondo «Bene», mi sembra brutto iniziare l'elenco "dei dolori". La persona che ai miei occhi appare il ritratto della gioia o del benessere potrebbe avere gravi problemi che ignoro: il figlio o il compagno drogato, avere una prognosi di tre mesi di vita, o che so io. Quindi... Il mio metro per valutare la sofferenza è rapportato al modo di sentirsi a livello mentale, ecco perché rispondo di star bene. A quel livello: IO STO BENE. Quando la mia mente è serena e tranquilla, in altre parole STA BENE, diventa marginale per me se a volte mi fa male la pancia piuttosto che una gamba o un braccio. Se avessi dolori atroci come hanno i malati reumatici, magari "la musica cambierebbe". Qualora arrivasse il momento di sentire "dolore alla testa", allora sì che dovrei preoccuparmi. Una persona è dichiarata morta, quando l'elettroencefalogramma risulta piatto. Di sicuro il mio corpo "è piatto", ma, finché il mio elettroencefalogramma dirà il contrario, a riprova che sono viva, farò il possibile per non morire dentro. Mi è un po' complicato esprimere a parole questo concetto. Forse la penso così perché sono piena di me stessa o perché sono presuntuosa o semplicemente egoista. Ma se il mio modo di vivere la malattia fosse veramente d’aiuto? Se veramente fosse possibile trarne dei "giovamenti"? Perché precludere quest'opportunità al mio prossimo rimanendo nell'ombra? mi sono detta. Ecco perché, alla fine, ho deciso di accettare la proposta di Silvana e Silvia. Spero dal più profondo del cuore di poter essere efficace. Far stare bene gli altri è molto importante. Me lo insegnano i volontari di questa e di altre associazioni, i quali regalano il loro tempo a tale scopo, tempo che potrebbero impiegare in maniera egoistica come faccio io. Nei loro confronti, mi sento piccola piccola. Come premessa è stata un po' lunga. Arrivando al dunque... La mia giornata tipo: troppo corta...
Mi "alzo" la mattina e subito è già arrivata l'ora di tornare a letto. Com’è possibile? Sicuramente hanno fatto sparire alcune ore.Le giornate le trascorro in modo intenso. Il tempo vola (ecco perché sembrano più corte delle 24 h regolari) o al computer o leggendo libri. Avendo precluso l'uso delle braccia, il computer lo gestisco con un programma di riconoscimento vocale: parlando attraverso uno speciale microfono "miracolosamente" le parole appaiono sullo schermo. Il microfono è l'appendice di una cuffia, la quale correda un software (DRAGON NTURALLYSPEAKING della NUANCE). Programma che consente di governare completamente il computer pronunciando degli specifici comandi. Con ordini vocali, si conduce pure agevolmente il mouse come se fosse spostato a mano. Comando a cui cerco di ricorrere il meno possibile. Stranamente spostare il mouse è l'unico gesto che il mio corpo è in grado di eseguire (chissà ancora per quanto), perciò evito la comodità del comando vocale divertendomi ad usare le mani. E’ fantastico! Meglio approfittarne finché posso. Gestire il mouse manualmente non è proprio "detto-fatto". Innanzitutto le braccia devono essere collocate al giusto livello sul tavolino della carrozzina. In seguito, l'indice d’entrambe le mani deve essere appoggiato sui rispettivi tasti. Poiché le dita "funzionano" solo se sistemate al millimetro "in quella tal posizione", altrimenti... niente clic, niente movimento, estenuante diventa il compito di chi "è costretto" a darmi retta: «Sposta un po' il dito a destra. No, è troppo, leggermente a sinistra, ecc.». "Soddisfatta" della posizione, faticoso è comunque cliccare col tasto destro. Precluso l'uso della rotellina. Complicato arrivare alle parti esterne del monitor. In ogni caso, non ci sono problemi, quando ho difficoltà motorie, integro a voce. Al computer ho sempre tante cose da "mettere in piedi": gestire la posta elettronica, scrivere sms, elaborare fotografie, telefonare e... permettete di non rivelare proprio tutto. Avendo "confinato" l'uso del corpo, i miei bisogni e "inspirazioni" per essere resi concreti coinvolgono una seconda persona, invece questo strumento mi rende indipendente. Un esempio banale: se desidero mandare un sms, è necessario che qualcuno digiti per me il messaggio al cellulare, conseguenza... tre persone risultano al corrente "del desiderio" (lo stesso vale per telefonare). Il computer al contrario mi dà l'autonomia di mettere in atto quello che mi propongo e informare "della cosa" solo chi voglio; se voglio. Tale frase porta a pensare chissà quali segreti o comportamenti abbia da nascondere. Non è così: nessun segreto; niente da nascondere. Immagino sia semplicemente un bisogno che affonda le radici in quella mia "anormalità", la quale comporta il costante chiedere aiuto per ogni singola azione da compiere. Mi spiego meglio: se ho sete chi mi mette la cannuccia in bocca è informato di quanto, quando e cosa bevo, mentre al contrario, salvo non veda o l'interessato lo dica, è impossibile per me saperlo.  Sembreranno degli esempi stupidi, ma, avere una pur minima privacy (parola oramai di moda), a mio parere, è importante. La passione principe è comunque la lettura, non il computer come può apparire. Divoro libri di qualsiasi genere. I romanzi a sfondo rosa però mi annoiano e li evito volentieri, salvo che non siano regalati. Da supporto al libro c'è un leggio ove vi è applicato un elastico utile per mantenere ferme le pagine. Naturalmente, per girare il foglio, "è di rigore" ricorrere alla famosa seconda persona. C’è un ausilio che permette di voltare le pagine semplicemente soffiando in una cannuccia, ma, oltre che costoso, è ingombrante per i miei spazi. 
Leggere, oltre a far passare piacevolmente il tempo, mi riempie la mente, porta ad imparare cose nuove, ecc. Inoltre è un’ottima ginnastica per mantenere vivo e attivo il cervello che, se lasciato in balia della malattia, potrebbe atrofizzarsi per l'inerzia e i brutti pensieri. Che guaio! Non sia mai! 
In inverno, essendo una freddolosa patologica, vado in letargo come le marmotte. Mancando in famiglia un veicolo dove salire stando in carrozzina, rimango rintanata al calduccio. Quando per motivi di salute sono costretta a spostarmi, ricorro all'ambulanza. Ma, appena si apre la stagione, esco volentieri a fare un giro "a piedi" penetrando le vie del paese. Il guaio è che ho poca autonomia respiratoria, quindi la permanenza fuori è cadenzata dalla necessità di attaccarmi al respiratore. La nuova carrozzina (l'avrò a breve) sarà dotata di un supporto a cui fissare l'apparecchio. Allora potrò "far venire la carenza d'aria" al mio "autista" per voler andare lontano. Sto scherzando. Non mi ritengo così crudele. Ma andare lontano nel senso virtuale del termine di sicuro lo posso già fare, cioè posso cercare di vivere bene ed evitare di arrendermi. Un modo di vincere la partita sulla malattia. Non posso e non voglio perdere. L’affetto (visto in TUTTE le sue forme) che costella la mia vita è la tanto decantata ciliegina sulla torta.

Copiando il titolo di un famoso film: LA VITA È BELLA... scusate se è poco.

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